Dal bordello alla tombaIn Grecia la crisi economica sta mettendo in ginocchio anche il calcio? Nel 1978, ultimo anno di Gaetano Anzalone alla presidenza della società, i Capitolini hanno avuto l’occasione di osservare come negli Stati Uniti d’America lo sport fosse principalmente trainato dal merchandising e dalla vendita di prodotti legati al club. L’Uruguay esordisce nel girone finale contro gli iberici il 9 luglio all’Estádio do Pacaembu di San Paolo, ma non riesce ad andare oltre il 2-2. Quattro giorni dopo, nello stesso impianto, si trova di fronte la Svezia: passata per due volte in svantaggio, la Celeste riesce a strappare una sofferta vittoria per 3-2, grazie al gol di Varela e alla doppietta di Míguez. Il capitano Varela alza la coppa del mondo in un clima surreale, in uno stadio ammutolito, simbolo di un Paese che ricorderà la clamorosa disfatta della propria nazionale come O Maracanaço. Essendo ormai tardi per modificare la composizione dei gironi, il gruppo dell’Uruguay si riduce ad un’unica gara tra la Celeste e i modesti boliviani, che vengono agevolmente battuti per 8-0. L’Uruguay si guadagna così, con appena una partita, l’accesso al girone finale a quattro squadre, la cui vincitrice sarà campione del mondo (quella del 1950 fu, infatti, l’unica edizione della Coppa del Mondo in cui non fu disputata una finale).
La conclusione dell’avventura uruguaiana è resa ancor più amara dalla sconfitta (1-3) nella finale per il 3º posto ad opera dell’Austria. Ma parlare di vittoria contro una squadra che pare invincibile come il Brasile suona come pura utopia: i brasiliani, cui basta un pareggio per conquistare il titolo mondiale, schierano grandi stelle del calibro di Ademir, Jair, Zizinho e Danilo, e sembrano destinati a travolgere anche la selezione uruguaiana. Nel Campeonato Sudamericano 1953 l’Uruguay gioca un buon calcio, ma per appena un punto non riesce ad agguantare la prima posizione, insieme a Paraguay e Brasile, che gli avrebbe permesso di accedere allo spareggio per il titolo. E ciò può incidere negativamente, almeno da un punto di vista mentale, sulle nostre prestazioni. L’Uruguay vince 2-0 contro il Paraguay la gara seguente, ma nell’ultima sfida deve assolutamente battere l’Argentina, avanti di 1 punto in classifica. Nella seconda partita l’Italia di Gigi Riva è un ostacolo assai più duro e il punteggio finale è di 0-0. I 3 punti in classifica consentono comunque alla Celeste di guardare con ottimismo la sfida finale contro la Svezia, ma la gara contro gli scandinavi rischia di trasformarsi in una clamorosa disfatta: al 90′ infatti Grahn sorprende Mazurkiewicz, e solo la miglior differenza reti salva l’Uruguay dall’eliminazione.
La Celeste, allenata da Ondino Viera, ottiene all’esordio un preziosissimo 0-0 contro i padroni di casa inglesi a Wembley, merito soprattutto delle parate di Ladislao Mazurkiewicz. Sempre nel 2007, in occasione delle celebrazioni per il centesimo anniversario di fondazione del club, venne realizzato un logo speciale: lo stemma era circondato da una striscia dorata distanziata dallo stemma, nella parte superiore c’era scritto 1908-2008 e nella parte inferiore 100 ANNI INTER. Houston ha anche indossato la maglia numero 29, mentre Hubbard ha indossato diversi altri numeri di uniforme nel corso della sua carriera, tra cui 36, 40 e 51. Il running back Brandon Jacobs ha indossato la maglia numero 27 per la maggior parte dei suoi nove anni nella NFL prima di cambiare. Parenti, istituzioni, amici, conoscenti e anche curiosi hanno gremito la Basilica di San Nicolò, dove si è recata anche una nutrita delegazione della Calcio Lecco 1912, squadra di cui era tifoso; e proprio i tifosi della squadra locale hanno esposto uno striscione («Il tuo sorriso resterà nel cuore della città. Ciao Dani») nel momento in cui la bara, su cui è stata posizionata una maglia bluceleste, ha varcato la soglia della chiesa per essere posizionata sul carro funebre.
I tifosi della Celeste rivedranno la propria nazionale in un torneo internazionale solo in occasione dei mondiali inglesi del 1966. Dopo aver agevolmente superato le qualificazioni contro Perù e Venezuela, l’Uruguay viene inserito nel gruppo A contro Inghilterra, Francia e Messico. Marek ha detto no a qualsiasi tipo di offerta che non privilegiava i valori della bandiera, i valori della vicinanza e dell’amicizia, il calore e l’affetto che gli dimostrano tutti i tifosi. Gli anni cinquanta si aprono con una nuova fase avara di successi per la Celeste. Il «Cesarone» nazionale viene sostituito da un tecnico locale, Omero Andreani, ex della Ternana operaia anni 1950 e 1960 che si dimenava in IV Serie al Viale Brin. L’Uruguay, che ripropone grosso modo la nazionale che 4 anni prima ha espugnato il Maracanã, supera agevolmente il primo turno, dove batte Cecoslovacchia (2-0) e Scozia (7-0). La vittoria del girone proietta la Celeste nei quarti, dove affronta l’Inghilterra: Borges, Varela, Schiaffino e Ambrois confezionano il 4-2 finale con cui l’Uruguay liquida i «maestri» inglesi. Nella stagione 1976-1977 il Perugia abbandonò le divise monocolore degli anni precedenti, optando per delle maglie rosse con colletto bianco e scollo a V, impreziosito da alcune righe rosse.
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